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DANZA CONTEMPORANEA A ROMA

 L’offerta di danza contemporanea a Roma negli ultimi anni è cresciuta enormemente, ma come è nella logica delle cose umane alla grande quantità di spettacoli fa riscontro una scarsa qualità della maggior parte degli stessi, e ciò, si badi bene, non per insufficiente capacità dei danzatori, che anzi sono spesso giovani assai ben preparati, ma proprio per la scarsità di idee originali e coerenti da parte dei coreografi che, ahimé, si ergono a tali scopiazzando perlopiù ciò che va di moda, senza una visione organica del proprio lavoro, un linguaggio definito, un disegno complessivo per l’opera da mettere in scena.

Deludente sotto questo profilo è stata l’ultima edizione del Festival Romaeuropa che ci ha riproposto molti autori già noti i quali, però, dopo qualche sprazzo iniziale di creatività ormai da anni girano a vuoto su se stessi. Irrimediabilmente irritante mi è parso il canadese di origini marocchine, Edouard Lock, che evidentemente, proprio per la sua formazione culturale, non ha capito niente di quella che è la tradizione plurisecolare della danza classica europea,  il quale ha voluto creare per il suo gruppo, La La La Human Steps, un lavoro dall’esotico titolo AMJAD, ispirato ai capolavori di Petipa e Ciaikovsky stravolgendone musica e linguaggio in una esibizione senza senso e di cattivo gusto la cui unica chiave di lettura era una assurda accelerazione del movimento  ed un uso assolutamente incongruo del linguaggio accademico!

   Molto poco da dire mi sembra che avessero anche Akram Kham e Sidi Larbi Cherkaoui, altri due noti artisti dalle esotiche origini, che in un inedito passo a due, ZERO DEGREES, di cui erano autori ed interpreti non hanno esibito altro che un ventaglio del loro limitato vocabolario espressivo.   Per non dire di Caterina Sagna, che avevo molto apprezzato in altra occasione, la quale adesso, in un sua produzione intitolata BASSO OSTINATO, imbastisce intorno ad un tavolo da pranzo una conversazione, con movimenti scenici, che forse vorrebbe essere provocatoria per l’abuso di scorrettezze e scostumatezze corporali, ma che sembra invece soltanto una mascheratura per un vuoto di idee; al giorno d’oggi ci vuol ben altro per contestare o per scandalizzare il pubblico romano!

   Intanto squallore un piccolo raggio di luce lo ha portato la Emanuel Gat Dance Company da Israele, al suo debutto romano, con un dittico composto da WINTER VOYAGE, sulla musica di Schubert, e LA SAGRA DELLA PRIMAVERA, musica di Stravinsky, riletture di pezzi celebri ma ottenute attraverso coreografie pulite, musicali, senza pretese, chiaramente leggibili pur nella contaminazione, a volte, fra stili diversi.

  Un cenno infine per la commovente esibizione di Em Theay, sempre al Teatro Palladium, unica danzatrice del Balletto Reale Cambogiano sopravvissuta alle stragi dei Khmer Rossi. Nello spettacolo The continuum - Beyond the killing-fields  costei, donna ormai anziana ed impegnata nella ricostruzione della sua arte distrutta, ha narrato la sua atroce storia e ha dato esempi delle antiche danze del suo paese; affascinante!

Una piccola rassegna di danza contemporanea, Ritorni, è stata promossa anche dall’ETI al fine di far conoscere al pubblico romano del Teatro Valle alcuni artisti italiani che da tempo vivono e lavorano all’estero; opera meritoria se essi verranno selezionati secondo criteri di effettivo valore. Dei tre coreografi in lista in questa prima tornata, ho avuto la possibilità di assistere solo all’esibizione di Francesco Scaletta, originario di Salerno, ma giunto col suo piccolo gruppo dalla lontana Norvegia.  Non una vera rivelazione, purtroppo, il suo teatro-danza, dal lungo titolo: HEY DUDE, LET’S STICK AROUND A BIT LONGER THIS TIME,  è una rimasticatura del vecchio genere della Bausch, tutta roba trita, vista e rivista come l’avanguardia degli anni sessanta, ormai superata e provinciale.

Piccola delusione l’ultima produzione di Dino Verga, artista che io ammiro e seguo da lungo tempo, ma, Dammi mille baci, musiche di autori vari, seconda ed ultima parte di Fiori Malati, lavoro che a suo tempo ho molto apprezzato, è un’opera che mi è sembrata dal fiato corto, priva di una vera ispirazione frutto solo del grande mestiere; peccato!

Per concludere riferisco di Roberto Bolle, il beneamato ballerino, che da anni non si esibisce più col Balletto dell’Opera di Roma, ma che di recente è tornato all’Opera con un gruppetto di suoi colleghi per uno spettacolino di tutti passi a due che ha richiamato folle di spettatori entusiasti. Il Bolle è un grande artistica per tecnica e presenza scenica,  eccelle come danseur noble nel gran repertorio, vedi passo a due da Il Lago dei Cigni. Quanto ai colleghi che lo accompagnavano si sono distinti i due danzatori provenienti dal Balletto di Amburgo, Otto Bubenìceck e Ivan Urban, sorprendenti interpreti di una pregnante creazione di John Neumeier, Opus 100 for Maurice, su musica di Simon & Garfunkel.

Alberto Cervi